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autore:Unknown
Format: epub


5. Temperamento ed etnia

L’idea che popolazioni rimaste per millenni in una certa regione possano presentare alcuni temperamenti specifici incontra assai più resistenza della tesi che maschi e femmine abbiano ereditato differenti disposizioni. Si ha il timore che qualche fanatico possa sostenere la superiorità o l’inferiorità del temperamento di un gruppo piuttosto che di un altro. Ciò nondimeno, i genetisti hanno confermato che le comunità che sono rimaste isolate per centinaia di generazioni possiedono alleli distintivi, alcuni dei quali influenzano aspetti neurochimici o anatomici che potrebbero mediare una disposizione temperamentale.

Luigi Luca Cavalli-Sforza della Stanford University, scienziato di spicco in questo campo di indagine, ha scoperto una correlazione sorprendente tra la distanza geografica che separa due gruppi umani e il grado di differenza tra i loro genomi. Questo, evidentemente, vale per le moltissime specie animali che occupano nicchie diverse nelle varie aree del mondo. Un esempio viene dagli uccelli. Il grado di differenza tra i volatili del New England e tutti gli altri per quanto riguarda aspetto fisico, voce, comportamento abituale e geni aumenta con l’aumentare della distanza dal New England. Gli uccelli del North Carolina si differenziano ben poco da quelli del New England, quelli dell’America meridionale di più; quelli africani presentano il massimo grado di differenza.

La probabilità che, all’interno di una popolazione isolata, la prevalenza di un gene muti aumenta a ogni generazione successiva, e più alto è il numero di generazioni, maggiore sarà la differenza genetica tra la suddetta popolazione e le altre. Cambiamenti simili si verificano nel linguaggio di un gruppo che migra da un sito d’origine in un’altra area. Per esempio, la parola rex, che in latino rappresentava il concetto di re, corrispondeva a rix nella lingua di coloro che erano migrati verso l’Occidente europeo e che noi chiamiamo Celti. Nel giro di solo un migliaio d’anni, la frase in antico inglese Faeder ere thu the eart on heofonum, si thin mana gehalgod diventò Our Father, who art in heaven, blessed be Your name (Padre nostro che sei nei cieli, sia benedetto il Tuo nome).

Una buona analogia viene da un gioco che facevo da ragazzino. Immaginate quindici persone tutte in fila; quella a un’estremità sussurra qualcosa nell’orecchio della persona che le sta accanto la quale, a sua volta, riferisce il messaggio che ha sentito a quella dopo di lui, e così via: quando la persona all’estremità opposta della fila dirà a voce alta il messaggio che le è arrivato, questo di solito avrà un significato ben diverso rispetto a quello della frase originaria.

L’uomo moderno ebbe origine nell’Africa subsahariana tra cento e duecentomila anni fa e dapprima migrò in un’area che oggi chiamiamo Medio Oriente. Poi diversi gruppi si separarono per stabilirsi in India, Europa occidentale, Cina e infine nelle Americhe (fig. 5). Dunque gli esseri umani occuparono gran parte della Terra circa quindicimila anni fa. È anche ragionevole supporre che, fino all’avvento dei mezzi di collegamento moderni (nave e aereo), oltre il 90 per cento degli individui stanziati in Africa, Europa, Medio Oriente, Asia, America del Nord



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